2 GEN
Stare insieme

Per temperamento amo molto la solitudine, quello stato non vuoto, ma pregno di silenzio, nel quale è possibile riflettere e comprendersi. Sono convinta che, molto lontana dall’essere uno stato patologico, questo tipo di solitudine sia in realtà la premessa necessaria di ogni personale evoluzione.

 

Ma la solitudine di cui intendo parlare non è “lo star da soli”, quanto piuttosto “il sentirsi soli”, sentimento che, lo sappiamo, può prenderci come angoscia esistenziale anche (e talvolta soprattutto) nel mezzo di una folla.

 

È stato per me oggetto di riflessione per molti anni, il capire da dove potesse venire quel senso di separatezza dagli altri, di disconnessione dal mondo, quel gelo in cui puoi sentirti talvolta trasparente e remoto, quel vuoto in cui ti sembra di poter essere inghiottito nell’indifferenza generale, senza lasciare traccia dell’esserci stato.

 

E sono arrivata alla conclusione, spostando l’attenzione da quello che gli altri ti fanno (che è la prospettiva dell’infanzia) a quello che noi facciamo agli altri (che dovrebbe essere la prospettiva dell’età adulta), che siamo meravigliosamente efficienti nel creare i nostri inferni. Come potremmo sentirci infatti connessi, vicini, intimi con i nostri simili se tutta la nostra educazione, familiare e più ampiamente sociale, ci insegna a diventare “migliori” degli altri? se tutti i nostri pseudo-valori di riferimento risiedono in idee di primato? se ogni nostro gesto, pensiero, sono informati all’intenzione di “distinguerci” dagli altri?

 

Ci viene detto fin da piccoli che dovremo darci da fare per “arrivare”, veniamo posti a confronto e aizzati alla competizione tra noi in tutti i gradi della scuola dell’obbligo e superiori, che diventa per molti una palestra infernale di tentativi di non essere umiliati pubblicamente. Successivamente lo stesso schema, solo con più perfetta ferocia, si ripete nelle organizzazioni professionali, dove a parte affinare l’arte di fottersi reciprocamente, resta molto poco da imparare.

 

Quando, per lo più nella maturità, può capitare di sentirsi svuotati e poveri, e vagamente coscienti di vivere dimensioni insignificanti, veniamo indirizzati verso “specialisti” che dovranno renderci capaci di ritornare “in noi”, cioè di fatto riconsegnarci alla nostra capacità di violare la nostra umanità e di tornare efficientemente a lottare contro l’universo-mondo.

 

Ma tranquilli, c’è di peggio. Tormentati dalla vita decidiamo che non sarà così per i nostri figli. Crediamo di star soccombendo perchè non sufficientemente attrezzati e quindi ci adoperiamo per fornire loro, per il futuro, mezzi più sofisticati. Perciò non ci sembrerà di fare il nostro dovere di genitori se non li prepariamo a una lotta senza quartiere. Non ce la sentiamo di lasciarli nella loro pace, quella pace che è un chiaro messaggio della più autentica natura umana e che portiamo con noi alla nascita. E dunque spieghiamo, saggi, ai nostri figli che dovranno abbandonare illusioni, corazzarsi, prepararsi allo scontro totale. Quando inevitabilmente da adolescenti diventano nevrotici, ci chiediamo che cosa in loro è andato storto. E così via, senza mai fermarci a guardarci vivere e pensare.

 

La follia del nostro tempo è del tutto culturale. I suoi tempi e modi sono scandalosamente e pervasivamente scanditi da un sistema economico che semplicemente deve sostenere se stesso. Un sistema a crescita infinita (razionalmente irrealizzabile in un mondo finito) ha bisogno di un esercito di mercenari pronti a tutto per spingere in alto se stesso, e di mettere quei soldati uno contro l’altro col sogno di un paradiso per pochi eletti, perché si sintonizzino col ritmo più incalzante e feroce e più utile al sistema. Vivere soltanto non può bastare, non è sufficiente a un sistema pazzo che ha bisogno d’andar veloce, bisognerà lottare. E la lotta indotta come sistema di vita, il mito imposto del successo personale come atto di “distinzione” dalla massa (i tuoi simili) è la nostra rovina, il suicidio regolare che di noi stessi commettiamo nell’illusione di un primato. La nostra solitudine esistenziale è figlia di quell’idea di primato.

 

Come può accadere infatti il contatto tra noi se tutto, di noi, lavora per creare distanza? Da dove dovrebbe scaturire la solidarietà, l’accoglienza, l’incontro, se “realizzarsi” nella vita vuol dire fondamentalmente star attenti al vicino, vincere su di lui, “avere” più di lui? E dove potrà mai trovare nutrimento la nostra fame d’amore, se la fonte primaria (l’altro) è compromessa irrimediabilmente, resa da noi stessi inaccessibile?

 

Ora, mentirei se dicessi che è facile saltar fuori da tutto questo. Per me non lo è stato. Ha voluto dire anni e anni di sentimenti di inadeguatezza, di salti suicidi fuori da ogni apparente sicurezza, di dolorose valigie e allontanamenti da mondi ormai deformi. Ma per quanto doloroso e complicato possa essere, niente di meno mi sento di augurare a chiunque stia attraversando vaghi baratri di significato. Saltarne fuori ora, mentre questo sistema economico e culturale morente lancia i suoi gridi più mostruosi e violenti, potrebbe essere devastante, ma, per quello che serve, posso testimoniare che, alla fine, ne vale la pena.

 

Nessuna angoscia potrà mai più ripresentarsi alla nostra porta, perché la capacità di generare gioia diventa parte del nostro potere personale. Fintanto si è decisi a incontrare l’altro con la sincera disponibilità a riconoscergli la nostra stessa sostanza, e a mettere sul piatto noi stessi, come risorsa comune e non motore di accumulo personale, non è possibile che si verifichi alcun senso di separatezza.

 

Da quando l’ho capito, i miei anni sono diventati tutti buoni, indipendentemente da quanto denaro ho guadagnato, dagli scatti di carriera, dagli oggetti che mi sono potuta permettere. La storia personale, quando scopri la gioia di stare con gli altri, diventa indipendente dai fatti. Nulla può intaccare la realtà della vicinanza con i tuoi simili, del calore e dell’allegria che ci regaliamo a vicenda. E ogni anno nuovo comincia con l’intima certezza di questa densità, di questa ricchezza e generosità che ti aspettano ancora e ancora senza dubbio, perché dipende solo da te e tu hai già scelto. Vuoi confonderti e non distinguerti. Solo comprometterti irrimediabilmente con i tuoi simili. E tutto è per sempre a posto, perché nessun dubbio, nessuna paura per il futuro possono trovare spazio nella consapevolezza dell’intima connessione con l’esistenza.

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