Le costituzioni sono nate e si sono evolute per tener conto di nuove potenti idee che chiedevano riconoscimento e patria (sottomissione del sovrano alla legge, affermazione della sovranità popolare). Il cammino delle idee e il conseguente adattamento costituzionale sono sempre andati evidentemente nella direzione di uno spostamento del potere dai pochi (il sovrano) ai molti (il popolo).
Perciò le costituzioni andrebbero cambiate quando sorgono nuove idee nella direzione di maggiore libertà per l’uomo, o quando la storia ha fatto in tempo a produrre nuove condizioni, non prevedibili al momento, nuovi mostri, nuovi modi di attentare ai principi già acquisiti e non rinunciabili. Vanno cambiate perché da una parte il pensiero dell’uomo su stesso cambia, e dall’altra, perché sembra che la tentazione per il sovrano di ridiventare il padrone sia un processo storicamente continuativo, al quale bisogna evidentemente contrapporre una continuativa attenzione.
Le costituzioni vanno cambiate per aggiornarle a quello che di nuovo si scopre sull’uomo, di migliore o di peggiore.
Perché cambiare la Costituzione italiana – Con tale ragionamento in tasca andiamo a vedere (senza la pretesa di essere esaustivi) che cosa è accaduto negli ultimi 60 anni in Italia che forse meriterebbe di essere preso in considerazione dalla nostra Costituzione (che risale al 1947).
Sul piano del costume, dell’evoluzione delle nostre idee su noi stessi, una delle più vistose differenze col passato, per esempio, è sicuramente nella sensibilità degli Italiani verso l’istituzione del matrimonio. L’articolo 29 della nostra Costituzione, quindi, che recita al primo comma “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” e che, di fatto, pone forti ostacoli alla scrittura di una legge sui diritti dei conviventi e delle coppie omosessuali, potrebbe diventare, a ragione, oggetto di una seria discussione collettiva.
Ma spostando la nostra attenzione alla sfera del potere, quali sono i nuovi mostri sorti dalla contemporaneità, che i nostri padri costituenti non potevano conoscere in anticipo, e che oggi creano storture e/o inefficienze nella possibilità di piena espressione della sovranità popolare e che dovrebbero quindi essere presi in considerazione dalla nostra legge fondamentale?
Televisione e accentramento poteri- I nostri padri costituenti non conoscevano la televisione, o almeno, non potevano conoscere il potere pervasivo, manipolativo, della comunicazione visiva (le trasmissioni televisive in Italia iniziarono ufficialmente nel gennaio del ‘54), e soprattutto non era per essi immaginabile, in un’epoca in cui il paese era un tappeto di macerie, la realizzazione di un abnorme accentramento di potere editoriale, economico e politico in poche mani. E non potevano concepire l’impatto disfunzionale, sabotante, di tale accentramento sulle libertà fondamentali (se libertà è scelta, quanto si può essere liberi in un paese in cui tutto viene da una sola fonte?). Quindi, forse, il conflitto di interessi è un altro di quei temi che dovrebbe occupare un serio dibattito costituzionale in questo paese.
Legge elettorale e nuove frontiere di spregiudicatezza – Per i nostri padri costituenti, che abitavano un mondo culturalmente radicato, pur tra forti divisioni ideologiche, nella sacralità della volontà popolare (avevano appena finito di combattere una guerra anche per questo), il meccanismo della maggioranza qualificata (con la quale è possibile per il Parlamento modificare la costituzione senza che sia più possibile per i cittadini fare ricorso al referendum) deve essere sembrato una garanzia sufficiente alla realizzazione del volere collettivo. Il ragionamento è che, se in un Parlamento fortemente diviso nelle idee, ma fortemente unito nel rispetto della legge e della collettività, i 2/3 dei rappresentanti riescono a convergere su una specifica decisione, tale decisione deve necessariamente corrispondere, per la logica della rappresentanza, alla volontà della maggioranza popolare, e che quindi chiedere oltre al popolo sia esercizio superfluo.
Ma tale assunto, con una legge elettorale oggi senza preferenze (non immaginabile nella elegante epoca nascente delle garanzie democratiche), viene drammaticamente a cadere. Se in Parlamento agiscono nominati e non eletti (senza alcun rapporto, né obbligo, verso l’elettorato), anche le modifiche costituzionali potranno, pur se votate a stragrande maggioranza, non avere nulla a che fare col volere popolare.
Cosa che purtroppo è puntualmente accaduta l’anno scorso in un silenzio mortificante per la nostra democrazia. Nell’aprile 2012 un Parlamento di nominati, interamente stretto intorno a un “governo tecnico” non ha avuto alcuna difficoltà a modificare (con maggioranza qualificata e quindi senza possibilità di referendum) la Costituzione, per inserirvi il principio del pareggio di bilancio chiestoci dall’Europa, e che ci costringerà a una severità di gestione probabilmente insostenibile per il nostro paese.
Alcuni economisti ipotizzano che tale principio in Costituzione potrebbe condannarci per lungo tempo alla povertà “per legge”. Non vi sembra che qualcosa sia accaduto in direzione contraria alla garanzia dell’affermazione della sovranità popolare? Della nostra autodeterminazione?
Forse, allora, la Costituzione dovrebbe porre degli argini minimi alle caratteristiche delle nostre leggi elettorali, forse la garanzia delle preferenze dovrebbe essere una di queste. E forse non dovrebbe, mai (alla luce del nuovo livello di spregiudicatezza e di connivenza interna al quale è giunto il costume politico italiano), essere possibile per il Parlamento apportare una modifica costituzionale senza la possibilità per la popolazione di esprimersi su di essa. Aggiornare quindi l’art. 138 in tal senso, potrebbe rispondere adeguatamente, alle nostre nuove tristi invenzioni.