21 FEB
Il voto (che ci è) utile
Pubblicato in: Noi, Politica italiana, Società | 21 febbraio 2013 - 17:00
Italiani al voto

Chi mi conosce sa per cosa voterò e quanto io sia appassionatamente coinvolta in questa campagna elettorale, ma ciononostante (o forse proprio per onorare quella passione), questo post non conterrà un’indicazione di voto. Non può farlo, perché non mi compete dire a chicchessia cosa sia meglio per la sua vita. E perché, in generale, quello che vorrebbe questo blog, semmai, è contribuire all’opera dell’intelligenza collettiva, e non certo aggiungersi al coro delle sirene incantatrici.

 

La Costituzione poi, se si vuole, anche in questo viene in aiuto, all’articolo 48 infatti recita, tra l’altro, “il voto è eguale”. Qualsiasi voto cioè,  da chiunque venga, a chiunque sia dato, ha lo stesso peso. A nessuno compete quindi dare giudizi sul voto. O, meglio ancora, non è possibile porre in essere l’argomento della diversa qualità del voto.

 

Ed è a questo proposito che vorrei piuttosto condividere con voi una riflessione. Con riferimento a chi per l’appunto in questi giorni tale argomento lo ha invece posto, invocando il cosiddetto “voto utile” (lo hanno fatto, e vi invito a controllare, da tutte le direzioni politiche). Voto utile è espressione chiaramente in violazione del sopra citato dettato costituzionale, perchè rimanda alla possibilità che vi siano voti “inutili” (e quindi non eguali), che vi siano modi o direzioni del voto che possano essere addirittura nocivi al bene della nazione.

 

Ma al di là della violazione, mi interessa soffermarmi sulla motivazione per la quale viene invocato il nostro particolare discernimento. Dunque, per lo più ci chiamano alla cautela -dicono- in nome della futura stabilità di governo. Ci viene detto, in sintesi, di stare attenti a quel che facciamo perché potremmo fare le spese delle nostre azioni: il nostro voto, incautamente dato col cuore o colle viscere, potrebbe rifrangersi in instabilità sulle nostre vite.

 

Personalmente, lo dico subito, trovo che vi sia infinita miseria in un tale messaggio e un completo tradimento della missione della politica: in assenza di visione e autorevolezza con le quali ispirarci, in nome delle quali chiamarci a sé, ancora una volta è la paura il valore principe a cui ci viene chiesto di ispirare le nostre azioni.

 

Ma direi di non affrettare i giudizi e di continuare con raziocinio. E di andare allora, con scrupolo scientifico, a vedere cosa è accaduto alle nostre vite quando il nostro voto è stato “utilmente speso” per fornire le maggioranze all’una o all’altra parte. Scopriamo, prima di tutto, che negli ultimi 20 anni la nostra Repubblica ha fatto l’esperienza di uno dei periodi più stabili della propria storia (incredibile ma vero:  se vi va, date uno sguardo a legislature e governi italiani), collezionando ben 3 legislature a termine su 5, a partire dal 1992, contro, per esempio, una su 5, nel ventennio precedente; e maggioranze ampie e garantite da nuove leggi elettorali e premi di maggioranza.

 

Quanto efficacemente abbiano fatto uso di tale stabilità in direzione di riforme e innovazione per il bene comune, non credo di doverlo raccontare. Se avete perso il lavoro, intanto, o sentite fortemente minacciata la vostra vita, se vi siete impoveriti, o vi sembra impossibile immaginare un futuro, lo sapete già. Negli ultimi vent’anni la cosiddetta stabilità non ha evidentemente rafforzato le nostre vite, ma apparentemente solo il potere autoreferenziale delle elite, la longevità e forza delle legislature non si è scaricata in efficacia riformatrice nelle nostre vite, ma sembra essere stata solo occasione di blindatura del potere al suo interno. Forti delle maggioranze, i nostri rappresentanti politici sono apparsi -non credo solo a me- utilizzare tale forza per farsi semplicemente, più indisturbatamente, gli affari loro.

 

E dunque, in cosa consiste ora il dovere di un buon cittadino? Dobbiamo dare ascolto alle sirene del terrore, che promettono di difenderci dal male a patto che ci comportiamo bene? È nostro dovere sopperire alle inadempienze di una classe politica che non sa e non vuole funzionare nel nostro interesse, quando gliene viene data (ripetutamente e ampiamente) la possibilità, abdicando ancora a una piena libertà di scelta? Dovremo dunque distorcere la nostra più immediata, istintiva, volontà e costringerci a complicate alchimie di espressione del voto, il solito, per intenderci, “vorrei votare Tizio ma non posso”, “alla Camera voto questo ma al Senato quest’altro”? È questo il nostro dovere?

 

Rispondo per me: votare, ascoltando ancora la paura, significa tradire all’infinito la nostra intelligenza oltre che la nostra reale volontà, e mancare l’unica preziosa occasione di dire chiaro cosa veramente pensiamo, alle varie forze politiche, del loro operato. Credo sia ora di ristabilire anche per questa classe politica il semplice nesso di causa ed effetto che informa la nostra vita di cittadini comuni. Credo sia ora di permettersi libertà e lasciar fare alla storia.

 

Ma soprattutto credo che abbiamo guadagnato il diritto, come popolo tutto, di essere lasciati in pace, a pronunciarci per fiducia, per gioia e per passione, e non più per timore, incertezza, angoscia. Credo che abbiamo bisogno, come popolo tutto, di una comune ribellione fondante. Di un immenso, collettivo, comune no, a chi ci vuole, ancora e ancora, spaventati, tremanti, inginocchiati. Di far sorgere dalle ceneri di un tempo disgraziato una coscienza collettiva costruttiva e non più meramente difensiva, che abbia voglia di dominare il proprio presente e non accontentarsi di pararne i colpi dall’angustia di un angolo.

 

La profondità della libertà che ci metteremo, il prossimo 24-25 febbraio, nel dire come la pensiamo, sarà, questa sì, utile alla nostra coscienza collettiva, forse più di quello che diremo. Perciò semplicemente, comunque la pensiate, soltanto vi auguro la ribellione, e la vertigine, di un voto libero.

 

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