10 OTT

La cultura di un popolo è fatta delle idee, delle immagini che, per lo più inconsciamente, ne dominano il sentire, l’agire. Idee che agiscono come potenti talismani o macigni opprimenti per attivare energie di costruzione o distruzione, di gioia di vivere o sfiducia. Sentimenti che ci danno voglia di muoverci, di partire e di cambiare il mondo, o di sederci, languire e lasciar fare per sempre a qualcun altro.

 

Ebbene, quali sono le idee che ci dominano al momento? Insicurezza direi, sensazione di essere esposti e fragili. Poi sfiducia, sensazione che il meglio sia tutto alle nostre spalle. E impotenza, convinzione di non  poter cambiare niente, di non poter decidere del proprio destino. Bene, cioè male, malissimo. Dove potremo mai andare di questo passo? Quale vita potranno mai attivare in noi idee così? Con un tale bagaglio interiore siamo destinati indefinitamente ad abitare un tempo che non ci somiglia, fatto altrove, deciso da altri.

 

Sarò fatta male ma quando tutto quello che mi circonda mi chiede di essere molto spaventata, io divento istintivamente molto arrabbiata, proprio come quando da bambina cercavano di tenermi buona con la paura di qualche mostro immaginario. Allora chiudo tutto (solitamente per primo la televisione), e mi metto in ascolto dell’imperturbabile. Sole, vento, pioggia, passi sull’erba, rotolio di sassi, tintinnio di chiavi, miagolio del mio gatto all’ora di pranzo. E lascio che torni la pace prima di tutto, di una vita senza spread e senza politici che gridano tutti di volermi salvare la vita, tutti grondanti umanità da ogni artiglio. Poi, piano piano, si può star sicuri che per questa strada arriva anche il ricordo, e con esso le idee smarrite con le quali so, in profondità, di voler convivere per sempre.

 

E torna anche lui, il sentimento della capannella (capannuccia o capannina per chi leggesse da altre regioni). Per quanti non ci avessero mai giocato da bambini, trattasi di quella capanna improvvisata che si costruiva in giardino, ad avercelo, o nell’angusto angolo di un terrazzino -ché tanto con la fantasia diventava comunque una giungla- con mezzi di fortuna, un pezzo di stoffa tra due rami, uno strofinaccio di cucina tenuto con mollette di biancheria sulla ringhiera. E si stava lì ad aspettare la pioggia o un semplice alito di vento più forte del solito che ci desse la sensazione di star sfidando gli elementi. E ricordo la felicità che provavo nel sentire la mia potenza di stare al mondo.

 

Solo un gioco di bambini? O non piuttosto, l’istintiva simulazione delle condizioni che la nostra natura umana avrebbe desiderato per sempre? Non sarà che essere esposti e pronti, immergerci nella vita e scoprire di saper sopravvivere, usare tutti i nostri talenti e sentirci ebbri di noi stessi sia ciò di cui più autenticamente abbiamo bisogno? Siete mai stati tanto felici, tanto sicuri come quando siete riusciti a restare a galla nell’acqua, o a restare in equilibrio su una bici, o a tornare vivi dal buio?

 

Lo so, ci hanno insegnato che fosse saggezza da adulti accettare di trasformarsi in formiche automatiche, limitarsi a desiderare solo che tutto si ripeta uguale all’infinito pur non essendo né formiche né infiniti. Dico che però forse questo non siamo noi. Non è lo spirito col quale siamo venuti al mondo, né quello che più profondamente desideriamo. Prova ne sia la noia che proviamo e la spasmodica ricerca di emozioni e novità che attiviamo quando tutto va proprio come previsto.

 

E allora questo tempo delle assenze può forse essere un grande spazio delle opportunità. Un’incredibile occasione di espressione della nostra più profonda verità. Forse possiamo smettere l’attesa e uscire dall’angolo in cui ci hanno relegato. Azzardare un gesto. E provare piuttosto a  vedere che c’è un mondo da fare, una storia da inventare, un continente da portare -perché no- in un’altra direzione. Possiamo costruire le nostre capanne interiori e tornare a gioire del vento e della pioggia, della nostra abilità a resistere e a sopravvivere, ad eccitarci per l’accensione del fuoco o l’invenzione della ruota. E se credete che tutto sia stato già inventato, semplicemente non avete guardato bene. Siamo alla fine di un’era economica ed energetica, nulla tra qualche anno sarà come l’abbiamo conosciuto. Grideremo di terrore o di gioia a seconda dell’idea che ci siamo messi nella testa e nel cuore. Il mare agitato, si sa, lo si può temere o cavalcare eccitati col surf.

 

Abbiamo a disposizione un tempo limitato, oltre il quale non risuoneranno mai più le nostre voci, ma davvero non vogliamo sapere intanto di cosa siamo capaci? Davvero non vogliamo andare a guardare? Davvero non vogliamo viverla questa avventura?

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